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“lavORO… Nonostante tutto”

“Precari o no, otto giovani su dieci appesi ai genitori”. Così titolava il quotidiano La Repubblica parlando della ricerca delle ACLI di Roma aps curata dall’Iref, “lavORO… Nonostante tutto”, presentata lo scorso 30 maggio alla Camera di Commercio[1].

Il titolo – alquanto inquietante – richiama la cartolina che abbiamo lanciato per il 1 maggio, con i lavoratori equilibristi e il claim: “Il lavoro dignitoso non ti lascia appeso a un filo”.

Come se ci fosse un unico filo tra quell’immagine e i giovani raccontati nella ricerca.

Purtroppo, “appesi”, i giovani ci si ritrovano in maniera coatta, costretti da politiche che da tempo propongono soluzioni ripiegate sul presente, che spesso si trasformano nei problemi del futuro. Politiche che ci restituiscono un contesto a tinte fosche, in cui la nostra sfida è dare alle giovani generazioni Speranza e concretezza.

Ecco perché “lavORO… Nonostante tutto”, è una “ricerca – azione”, come viene definita in termini sociologici: parte dall’ascolto dei bisogni dei ragazzi, per dare risposte concrete (come ad esempio l’esperienza del nostro cantiere “Insieme Generiamo lavORO”) e fare da pungolo alle istituzioni, affinché le politiche messe in campo rispondano a bisogni reali.

Un ascolto che ci rende “raccoglitori di storie”, capaci di andare oltre gli sterili numeri, e ci fa incontrare quotidianamente questi giovani che, nonostante tutto, sono molto meglio di come li si racconta di solito.

Come Luca, uno dei tanti ragazzi che incontro quotidianamente: 28 anni, un lavoro a tempo determinato, una fidanzata da 3 anni, con la quale condividere un progetto di vita, ma, per il momento: “Non riesco neanche a pensare di mettere su famiglia, non perché io non ne abbia voglia, anzi! Ma perché non ne abbiamo la possibilità economica”, mi ha rivelato candidamente.

L’aggravante per Luca, laureatosi da poco perché si è mantenuto con vari “lavoretti” mentre studiava, come spesso accade, è vivere a Roma, città che ha costi di vita elevati e prezzi degli affitti esorbitanti, per cui, la disponibilità di una casa è il vero spartiacque tra una vita dignitosa oppure no.

Ed eccoli, allora, i giovani “appesi” alle famiglie, punta dell’iceberg di uno scenario drammatico, come emerge dalla ricerca: il 30,3% dei giovani romani, tra i 18 e i 35 anni, risulta essere inoccupato, il 28,6% lavora saltuariamente, il 41,2% dichiara di essere un lavoratore full-time, nonostante questo solo il 22,6% riesce ad essere completamente indipendente dalla famiglia. Significa che se pur lavorando full time non si è sufficientemente autonomi, il lavoro non è di qualità, non è dignitoso. E invertire la rotta è la nostra battaglia.

Lo dobbiamo a questi giovani che, nonostante tutto, resistono.

Nonostante siano nativi precari non per scelta ma per necessità, in famiglie dove spesso anche i genitori sono precari.

Nonostante siano costretti ad andare all’estero per trovare opportunità qui negate, andando a regalare in giro per il mondo talenti e figli che qui non fa più nessuno.

Nonostante siano costretti a rinunciare a ferie, malattie e maternità pur di mantenere quel lavoro conquistato a fatica.[2]

Nonostante siano persino disposti alla sotto occupazione pur di avere un lavoro, e a derogare sui tempi e sugli spazi, lavorando fuori orario, da casa, nei week-end.

Nonostante lavorino tanto ma guadagnino poco, andando ad ingrossare le fila dei cosiddetti working poor (ovvero lavoratori poveri), una contraddizione in termini che prima non esisteva.

E ne conosco – e ammiro – tanti di questi giovani che portano sulle spalle questa serie di “nonostante tutto”. Sono giovani, “appesi” e funambolici, capaci anche di salti mortali e quindi descriverli come bamboccioni sdraiati sul divano di certo non corrisponde alla realtà dei fatti.

Tant’è, come rileva la ricerca dell’Iref, che hanno una percezione fortemente positiva delle proprie risorse per affrontare le difficoltà nel mondo del lavoro. E quindi, non è vero che i giovani si abbattono facilmente e non sono capaci di gestire lo stress e le sconfitte.

La novità positiva di questa ricerca e che ci dà un sospiro di sollievo, è che i giovani sono propensi al lavoro manuale, considerandolo un’alternativa e non un ripiego, perché per loro non è una questione di prestigio sociale o di inclinazione allo sforzo fisico; sono quindi pronti a rimboccarsi le maniche, purché ci siano giusto compenso e soddisfazioni.

La battaglia che stiamo facendo alle ACLI di Roma per sdoganare il lavoro di cura, va proprio in questa direzione, per dire che non esistono lavori di serie A e lavori di serie B ma solo lavori che danno dignità e tutele e lavori che invece le calpestano; quindi, come conferma il demografo Rosina, i giovani davanti al lavoro manuale temono solo lo sfruttamento e la mancanza di valorizzazione.

Ma lavoro manuale non significa improvvisazione. Dobbiamo quindi favorire un lavoro manuale di qualità, combinando formazione ed esperienza per rispondere a quanto il mercato richiede, preparando giovani competenti che possano contribuire a rinvigorire la nostra economia.

Un’altra lezione che ci arriva dai giovani intervistati è quella sul valore del lavoro. I giovani hanno capito meglio degli adulti che il lavoro non si può ridurre a mero scambio prestazione-compenso e infatti, dopo la continuità economica, i loro bisogni riguardano la sfera sociale e personale, quindi realizzazione e successo, senza trascurare buone relazioni tra le persone. Chiedono dunque un lavoro equamente retribuito, tutelato e umanizzante, che lasci spazio e che sia spazio per coltivare relazioni vive, in una parola un lavoro dignitoso.

E questo è al centro del nostro cantiere “Insieme Generiamo lavORO”[3], il cui punto di forza è la valorizzazione del lavoro di rete. Ci incoraggiano dunque, a proseguire in questa direzione le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in occasione della Festa del lavoro dello scorso 1 maggio ha detto: “Il lavoro di oggi e di domani è sempre più il frutto di un’azione corale, multiforme, integrata, che richiama la responsabilità di tutti. Riqualificare il lavoro, creare buon lavoro, assicurare ai giovani un futuro adeguato si impone come una priorità nazionale su cui far convergere le energie del Paese”. Un appello alla corresponsabilità nell’affrontare con lungimiranza e in chiave generativa il binomio “giovani e lavoro”, per non ipotecare il futuro nostro e dei giovani.

[1] Ricerca condotta dalle ACLI Roma e Iref, nell’ambito della sperimentazione romana del progetto “Generare Futuro. Promuovere le competenze e i talenti dei giovani per innovare sui territori”, finanziato dalla Presidenza del Consiglio all’ATS costituita da Forum Nazionale delle Famiglie e Acli di Roma.

[2] come ci aveva consegnato la precedente ricerca ACLI Roma e Cisl Roma e Rieti condotta da Iref “Avere 20 anni, pensare al futuro”

[3] Cantiere promosso dalle ACLI di Roma aps in sinergia con la Pastorale sociale del lavoro e in rete con CISL di Roma e Rieti, Confcooperative Roma, UCID Roma, Azione Cattolica Roma, MLAC, MCL Roma, e Centro Elis.

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