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Per un’Italia delle comunità solidali

L’autonomia differenziata è un tema di cui si parla troppo poco, eppure comporta un notevole impatto sulla vita dei cittadini perché c’è in ballo l’unità nazionale. Di per sé potrebbe essere una buona opportunità per costruire un’Italia di comunità solidali, ma le premesse non vanno in questa direzione e ci allarmano particolarmente.

Le ACLI, infatti, da tempo stanno portando all’attenzione questo tema, in favore di un regionalismo cooperativo, che faccia della differenziazione un valore aggiunto.

Ci chiediamo quali conseguenze l’autonomia differenziata potrebbe avere sulla tenuta unitaria del Paese e sull’uguaglianza dei diritti dei cittadini su tutto il territorio nazionale, quindi sulla coesione sociale, e come evitare il rischio che si crei una frattura istituzionale tra il nord e il sud del Paese. In poche parole come prevenire una riforma “spacca-Italia” con una “secessione dei ricchi”, come l’ha definita il prof. Gianfranco Viesti, dell’Università di Bari.

«Vogliamo un regionalismo cooperativo e solidale, che faccia della differenziazione un valore aggiunto… vogliamo un sistema in cui ogni territorio, pur godendo dell’autonomia necessaria al proprio sviluppo, possa essere solidale, differenziato e cooperativo…», così si conclude il documento della presidenza nazionale delle ACLI, realizzato a pochi giorni dal voto referendario in Lombardia e Veneto, nell’ottobre 2017 (e al quale si rimanda per maggiori approfondimenti) e significativamente intitolato L’illusione delle piccole patrie.

Il documento non contiene uno schieramento esplicito in vista dei referendum. Piuttosto richiama alle due visioni – sempre più oppositive – che sull’autonomia si sono venute delineando nel nostro Paese, coltivando la speranza che quell’appuntamento possa comunque rappresentare l’occasione, troppo a lungo rinviata, per affrontare il nodo critico tra autonomia regionale e unità nazionale, anche nel tempo insidioso dei sovranismi e dell’isolazionismo protezionistico: «La contrapposizione tra gli interessi contingenti degli schieramenti e le forzature elettoralistiche rischiano, però, di affossare una seria discussione su modello di comunità nazionale che sia rispettoso delle autonomie locali. Comunque, va colta questa occasione per rilanciare una riflessione più larga possibile, non solo in quelle Regioni, ma che coinvolga tutte le forze politiche e sociali (a partire dalle ACLI), capace di superare strumentalizzazioni, forzature e partigianerie. Purtroppo, il dibattito e l’azione politica prevalenti sembrano essere confinati nella polemica politica e nella rivendicazione di un autonomismo competitivo e distintivo (per non dire divisivo) che accentua le diversità e le distanze territoriali…». Parole che ancora oggi suonano attuali.

La possibile differenziazione dell’autonomia delle regioni ordinarie, non significa di per sé disuguaglianza, se l’obiettivo è davvero un regionalismo cooperativo e solidale, con un sistema in cui ogni territorio, pur godendo dell’autonomia necessaria al proprio sviluppo, possa essere solidale, differenziato e cooperativo, possa erre attento alla cura della solidarietà, della cooperazione e all’inclusone dei cittadini.

D’altra parte la differenziazione è un concetto riconosciuto dalla nostra Costituzione, come principio sul quale si può innestare l’assetto delle funzioni, e infatti l’articolo 118 (1) lo richiama insieme alla sussidiarietà e all’adeguatezza. Pertanto, riteniamo che sia essenziale avere come punto fermo il principio di uguaglianza e di solidarietà, da coniugare con l’autonomia, per fare della differenziazione un’opportunità per la crescita della coesione sociale e dell’efficientamento istituzionale e amministrativo del nostro Paese e dell’Europa intera.

Serve prima di tutto un grande piano di sviluppo su politiche industriali, formazione e welfare. Non possiamo consentire che il Sud sia solo il ventre molle del Paese, una spiaggia di sbarco per migranti e una terra da dove i giovani emigrano, ma occorre ribadire la centralità del Mezzogiorno nel rilancio economico e produttivo dell’intero Paese.

Dunque, sì a un sano regionalismo, che preservi le tradizioni e le culture dei singoli territori, no ad un Paese a due velocità, con un’autonomia delle regioni che rischia di penalizzare il Mezzogiorno perché i diritti dello stato sociale, sanciti nella Costituzione in materia di sanità, istruzione, lavoro, ambiente, salute, assistenza, vanno garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.

In particolare sull’istruzione, le ACLI, insieme ad importanti sindacati e associazioni, hanno promosso l’appello #RestiamoUniti per denunciare i rischi di una regionalizzazione del sistema di istruzione, che comporterebbe, tra l’altro, l’assunzione degli insegnanti a livello regionale.  La scuola non è un semplice servizio, ma una funzione primaria garantita dallo Stato a tutti i cittadini italiani, quali che siano le regioni in cui risiedono, il loro reddito, la loro identità culturale e religiosa.

Occorre allora partire da alcuni punti fermi che delineano la tenuta del Paese nel suo insieme e poi definire le attribuzioni, tenendo presente che tutto deve avvenire attraverso un’equa ridistribuzione dei fondi, soprattutto per la scuola come per la sanità, con la massima attenzione rivolta a coloro che sono in difficoltà.

Cosa resterebbe dello Stato, se il Paese si muovesse secondo una cittadinanza differenziata e diseguale? Cosa ne sarebbe dei cittadini costretti a vedersi assottigliare giorno dopo giorno diritti fondamentali?

Basterebbe analizzare le esperienze a noi vicine, come in Spagna, dove, per dare più autonomia ai Paesi Baschi, ora si ritrovano con i moti di secessione della Catalogna o come la Brexit in Gran Bretagna, i cui esiti hanno mandato nel pallone un intero Paese.

Il quadro si fa ancora più confuso se si pensa che – dopo Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna -, in lista d’attesa per l’autonomia ci sono anche Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria e Campania. Ovvero mezza Italia. Come e cosa diventeremmo?

La questione delle autonomie regionali non deve trasformarsi nel ‘festival dei particolarismi’, nel frazionamento o nel separatismo, non può essere il grimaldello con cui scardinare la casa comune.

È quindi necessario e urgente aprire sul tema del regionalismo un grande dibattito pubblicoperché è una questione non secondaria che riguarda troppo da vicino tutti i cittadini, e le ACLI, con il loro diffuso radicamento popolare sul territorio, sentono un supplemento di responsabilità.

Perché nella casa comune, vogliamo ancora sentirci tutti fratelli, e non fratellastri, nella nostra Italia.

 

(Articolo pubblicato sulla rivista “Regionalismo differenziato e unita’nazionale” per il sito Benecomune.net, luglio 2019).