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Ri-animare la città

Una città speciale: questa è Roma.

E non è (solo) una questione di orgoglio per chi ci vive, o per i turisti che ne apprezzano le antiche bellezze, o perché il vescovo è il Papa.

Roma dovrebbe essere necessariamente una città speciale anche dal punto di vista legislativo, perché speciale dovrebbe esserne lo status affinché possa finalmente ripartire.

Speciali dovrebbero essere i poteri di una capitale europea che si rispetti.

Speciali i fondi di cui disporre.

Speciale, perché la Capitale non è solo un caso locale e le sue sofferenze si ripercuotono su tutto il Paese, così come le sue eccellenze ne sono un vanto.

A tal proposito, è paradossale che si parli di rischio di “overtourism”, come hanno riportato i quotidiani in questi giorni, cioè siamo arrivati al punto che il turismo – che è sempre un’opportunità – rischia di mettere a repentaglio la città perché i servizi non sono adeguati!

Eppure il punto non è solo questo. Oggi Roma, con i suoi problemi stratificati e le crescenti diseguaglianze sociali, appare bloccata, costretta a correre in circolo, come in un girone infernale.

E molto del suo futuro dipende anche dall’efficacia delle politiche del Paese, dalle misure per accrescere equità fiscale e sociale, dagli investimenti sul futuro di giovani e famiglie.

Dipende anche da come si affronterà la questione dell’autonomia differenziata, un provvedimento che, per come è stato prospettato, rischierebbe di produrre un complessivo indebolimento del Paese e di dare il colpo di grazia a una capitale che “muore” (1), come sottolineava “Il Messaggero” in un editoriale del direttore Virman Cusenza qualche mese fa, lanciando un’impietosa inchiesta sulle sette piaghe che colpiscono la città, ovvero: strade, trasporti, rifiuti, verde, decoro, conti in dissesto e burocrazia (2), a cui ne aggiungiamo almeno un’altra, non certo residuale, un welfare a groviera incapace di rispondere ai vecchi e nuovi bisogni, che amplifica le tensioni sociali.

Per guarire Roma dalle piaghe e i romani dall’apatia e dalla rassegnazione, che nel peggiore dei casi sfocia in indifferenza e individualismo dilagante, ci vuole veramente una terapia intensiva.
Non a caso, le ACLI di Roma hanno sottotitolato la loro V Ottobrata solidale 2019 (3) “Ri-animare la città”, perché servono interventi urgenti, che richiamano un senso di corresponsabilità, su almeno tre macro filoni legislativo, sociale e valoriale, che devono essere collegati da un progetto lungimirante che, come ha fatto notare di recente il sociologo Giuseppe De Rita (4), manca da troppo tempo alla nostra città.

Ri–animare la città per una capitale all’altezza di quelle europee, quindi, a partire da un sostanziale riassetto amministrativo. Roma (grande quanto Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Catania messi insieme) ha un’area superiore a quella di comuni come Berlino, Parigi e Madrid ma è l’unica grande città europea in cui quasi 3 milioni di abitanti e circa 150mila ettari di territorio sono riuniti in un solo Comune.

E questo la rende già difficile da governare in partenza, con l’aggravante che anni di politiche dalla veduta corta hanno portato la capitale a un costante stato di emergenza. A questo si aggiunge un hardware della macchina amministrativa vecchio e farraginoso, che rende i 15 Municipi di Roma enti limitati, talvolta inutili e ridondanti: eletti dai cittadini, ma senza bilancio, con poteri delegati e riferiti solo ad alcune materie mentre nelle grandi città europee i municipi sono dei veri Comuni con pieni poteri. Uno scenario in cui, nonostante tutto però, ci sono realtà che riescono ad essere autentici luoghi di prossimità in mezzo a mille difficoltà, grazie ad amministratori creativi e illuminati che, valorizzando il principio di sussidiarietà, riescono ad attivare esperienze significative di Bene Comune.

Una seria riforma politico-amministrativa contribuirebbe anche a sanare il divario tra centro e periferie, favorendo logiche di integrazione e riqualificazione di vaste aree abbandonate e carenti di servizi, specchio della società dello scarto, in cui si annidano i problemi, si amplificano le diseguaglianze, si affossano le speranze.

Purtroppo anche stavolta nel programma definitivo (5) del nuovo Governo, è sfumata la possibilità di una Delega per Roma Capitale che avrebbe tenuto sotto i riflettori quest’annosa questione. Ma le cronache recentissime ci raccontano di una rinnovata sintonia tra Governo e amministrazione capitolina, e anche il Presidente Matterella (6), a margine di un evento alla Camera di Commercio di Roma (7), ha dichiarato di essere “molto interessato allo sviluppo della Capitale”. E questo fa ben sperare.
Il secondo filone, quello sociale, è uno degli ambiti cruciali per Ri–animare la città, non solo perché è molto caro a noi, ma perché le politiche sociali, se declinate come politiche di sviluppo e non politiche residuali, possono rappresentare anche un vero e proprio volano per il rilancio della città.
E’ quindi necessario rilanciare un nuovo modello sociale e politico incentrato sul lavoro di rete, capace di ricomporre le fratture esistenti nella nostra comunità.

C’è un grande patrimonio di esperienze civiche, ecclesiali e laiche, che fa tantissimo, ma che è importante mettere in rete per sistematizzare e moltiplicare gli effetti.
Le ACLI di Roma, con la loro azione quotidiana, i Servizi, i progetti di recupero alimentare come “il Cibo che serve”, i Presidi solidali nelle periferie, i Punto ACLI Famiglia, il Cantiere per i giovani “Insieme Generiamo lavORO”, fanno parte di quella rete silenziosa che opera e sistema silenziosamente il welfare locale.

Non è più rinviabile una grande iniziativa che conivolga tutte le forze buone della città per dare speranza, per costruire un futuro migliore per la capitale.

Come pure è necessario che la città si doti di un Piano Sociale pluriennale, fondato, come hanno scritto le ACLI nel documento per le elezioni amministrative dello scorso maggio, su quattro pilastri:
1. Centralità delle politiche sociali che devono essere considerate un investimento e non un costo e quindi cifra della buona politica. Il welfare comunitario infatti è una condizione dello sviluppo e non un ammortizzatore.
2. Interdipendenza ed integrazione delle politiche sociali con gli altri ambiti delle politiche, edilizia, infrastrutture, mobilità, urbanistica, ad esempio, al fine di superare una logica settoriale per mettere costantemente in relazione le varie parti in una visione condivisa.
3. Valutazione dell’impatto che tutte le politiche producono sui destinatari (anziani, giovani, famiglie, disabili) evitando così interventi che non rispondono ai bisogni reali. Bisogna introdurre la pratica del “bilancio dell’interesse pubblico” nella valutazione delle politiche urbane, in particolare da parte delle amministrazioni pubbliche, ovvero la necessità, ogni qualvolta si proceda ad interventi di trasformazione urbana, di considerare gli interessi in gioco ma anche chi ne trae beneficio (e ricchezza) nonché gli effetti urbani più diffusi che ricadono sulla popolazione e sull’organizzazione della città e della vita quotidiana, per far sì che la bilancia penda dal lato dell’interesse pubblico.
4. Sussidiarietà, pienamente agita al fine di valorizzare i corpi sociali, quali coprotagonisti del nuovo modello di welfare, e per contrastare una politica della disintermediazione. Si potrebbe partire con quello che da tempo le ACLI di Roma suggeriscono: un albo che metta a sistema le tante buone pratiche sociali che ci sono, ma restano affidate alla buona volontà delle organizzazioni, quando invece, con il supporto delle Istituzioni, potrebbero fare ancor di più e meglio, fino a diventare buone politiche.
Ma sarebbe troppo facile e semplicistico liquidare tutti i mali di Roma con i problemi amministrativi, o ridurli solo a quelli sociali. La città deve ritrovare la sua anima, e per questo occorre sviluppare una visione generativa che vada –urgentemente- al di là delle emergenze.

Ri–animare quindi la città crocevia di storie e culture, di persone e di eventi, per aiutarla a riscoprire ed alimentare la sua anima e la sua storica missione di accoglienza perché solo così può trovare la sua direzione e la sua meta.

In tal senso, un segnale di speranza arriva da Sua Eminenza il cardinale vicario Angelo De Donatis, che pochi giorni fa ha voluto incontrare parrocchie, movimenti e organizzazioni della Diocesi per dare concretezza alle linee programmatiche del cammino pastorale 2019-2020 racchiuse nel documento “Abitare con il cuore la città” (8).
Giovani, poveri e famiglie, sono al centro di questo cammino – non solo riservato ai credenti, ma esteso a tutti – che parte dall’ascolto del “grido della città”, un ascolto non solo metaforico, ma che richiede prossimità e attenzione costante, perché “l’organo dell’ascolto non è l’orecchio ma il cuore” (9), come ha detto il cardinale vicario.

Ri–animare Roma, è certamente un compito arduo che richiede energie, competenze e passione da parte di tutti i soggetti della comunità, per un grande progetto comune che coniughi visione e concretezza, per una capitale che metta al centro un nuovo umanesimo urbano.