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Roma e le sue “periferie”: una nuova visione della Capitale

di Lidia Borzì.

 “Oggi le periferie sono una realtà molto complessa. Ci sono diversi tipi di quartieri. Alcuni molto ricchi ed eleganti, anche lontano dal centro. In quella che una volta era la periferia si infiltra la città e l’opposizione non è più geografica, ma sociale”.

Queste parole dell’antropologo francese Marc Augé – che da molti anni studia il tema dei luoghi e dell’abitare – ci aiutano a pensare in modo diverso il tema delle periferie andando oltre la dicotomia centro-periferia, oggi non più sufficiente per comprendere le trasformazioni in atto. E questo vale anche per Roma.

Infatti, è nelle periferie che sta emergendo la nuova identità delle metropoli, non più condensate nel centro, ma estese su un’area ampia e articolata. Roma oggi è la sua periferia: intorno al grande raccordo anulare, infatti, gravitano un milione e mezzo di abitanti mentre nel centro storico vivono meno di 100mila persone.

Ma a Roma le politiche urbanistiche non sono mai andate di pari passo con quelle dei trasporti quindi, le famiglie giovani attratte in periferia da un mercato immobiliare abbordabile, hanno le case ma non hanno i servizi, hanno i parcheggi per le auto ma non i posti al nido per i figli e per queste persone raggiungere quotidianamente il luogo di lavoro è un vero e proprio viaggio della speranza.     

Se è vero che le periferie non possono essere più definite solo per differenza in termini oggettivi, come distanza dalla ztl, e non possono essere solo associate alla marginalità sociale, come se episodi di violenza e di devianza fossero una proprio prerogativa, c’è però da dire che spesso periferie geografiche e periferie esistenziali coincidono.

Con l’effetto che, chi abita in periferia, si carica di ulteriori disagi che creano una distanza non solo geografica, ma anche sociale all’interno della città. A tal proposito una recente pubblicazione “Le Mappe della Disuguaglianza: di Leto, Monni e Tomassi (ed. Donzelli) spiega come ci siano almeno due città dentro Roma. Distinte, distanti e fortemente disuguali. Da un lato il benessere e le opportunità di inclusione del centro e della zona nord, dall’altro uno stato di disagio socio-economico definito “profondo e preoccupante”, specie nel quadrante est e verso il litorale che porta a Ostia.

Dunque, periferia è dove non c’è ascolto, è dove non ci si sente accolti, dove si ha la sensazione che la vita si svolga altrove. Periferia è dove non c’è pari dignità, dove i diritti vengono spacciati per privilegi, e la malavita trova terreno fertile, dove non c’è lavoro dignitoso. Periferia è dove davanti a un problema si è disorientati e si prova la disperazione di non sapere a chi chiedere aiuto. Ma periferia è anche il salotto di un bell’appartamento di Corso Vittorio Emanuele, abitato da un anziano solo.

Ed è in quest’ottica che le ACLI di Roma si sentono chiamate in causa per contribuire a ricostruire i legami nella comunità e dare voce a chi non ne ha, ed essere snodo di una rete per rispondere ai bisogni concreti dei cittadini e sostenere la sussidiarietà con le Istituzioni.

Da tempo le ACLI di Roma si sono messe in cammino verso le periferie geografiche ed esistenziali per ascoltare il grido della città là dove nasce, attivando ad esempio i presidi solidali a Corviale, Monti, Ostia e Casal De Pazzi.  Per farci ancor più prossimi, abbiamo recentemente inaugurato, un presidio mobile che porta fisicamente (con un camper) alcuni servizi e riposte ai bisogni dei cittadini: dall’orientamento al lavoro all’elaborazione del curriculum vitae, dal contrasto alla dispersione scolastica e alla povertà educativa all’ascolto e al sostegno psicologico all’esigibilità dei diritti.

L’idea del presidio mobile è una nuova scommessa per essere concretamente UN movimento IN movimento verso le persone e dare un contributo fattivo alla costruzione di una comunità educante capace di stringere le maglie della protezione sociale dove le istituzioni sembrano più distanti e i servizi irraggiungibili attraverso in modello di impegno sociale che punta alla cittadinanza attiva e mette al centro la dignità della persona affinchè non ci siano cittadini di serie A e di serie B.

Un modello che oltre ad offrire risposte immediate nell’emergenza, garantisce l’esigibilità dei diritti, realizza occasioni di aggregazione, e iniziative educative  consentendoci contemporaneamente di essere un pungolo costante per le Istituzioni. Una presa in carico a tutto tondo con particolare attenzione: ai giovani che cercano lavoro; a chi il lavoro l’ha perso o non l’ha mai avuto, alle persone che sono in un momento di difficoltà economica; agli anziani soli; agli immigrati che hanno difficoltà ad integrarsi  e alle mamme lavoratrici a cui offriamo orientamento sugli aiuti a loro rivolti per conciliare meglio famiglia e lavoro.  

Siamo consapevoli che le nostre risposte sono solo una piccola goccia, per questo occorre lavorare in un’ottica di corresponsabilità dove ciascuno faccia la propria parte in un orizzonte condiviso, ma il supplemento di responsabilità  spetta alle istituzioni che hanno il compito di mettere a sistema le buone pratiche che ci sono e trasformarle in politiche buone e interdipendenti.

Sulle periferie c’è ancora tanto, molto, da fare e come ACLI di Roma pensiamo sia necessario partire dal:

 

Ridare dignità alle periferie attraverso il lavoro dignitoso. Tutti devono poter accedere a occupazioni e fonti di reddito, che creano autonomia, che attivano risorse sociali, che contrastano le economie informali e malavitose, il ripiegamento sullo spaccio della droga, il clientelismo. In questa prospettiva la tecnologia può essere una occasione che può consentire di sperimentare, dove le persone vivono, forme e modalità nuove di lavoro, ad esempio attraverso spazi di coworking, o il sistema dello smart working, dando ai lavoratori la possibilità di lavorare per alcune ore e giorni da casa o da altri luoghi in modo da rendere migliore la condizione lavorativa e quella familiare, e agevolando al contempo la viabilità stradale, che, come noto, è molto complicata per chi dalle zone periferiche si sposta verso il centro – e viceversa – in particolare negli orari di punta.  Più in generale, questo significa un ripensamento delle economie urbane.

Riutilizzare e riusare immobili e terreni abbandonati e/o dismessi, sia nelle periferie che nei tessuti urbani consolidati. Molta attenzione deve essere rivolta alle nuove destinazioni, favorendo quelle socialmente utili (spazi aperti, aree verdi attrezzate, servizi, ecc.) e non quelle di interesse speculativo (commerciale, residenziale intensivo). Bisogna anche intervenire sul già costruito, attraverso interventi di manutenzione o ristrutturazione edilizia.

Puntare su politiche tese alla valorizzazione delle agricolture urbane e periurbane, anche per il loro valore sociale, nonché tutte le politiche legate alla sostenibilità ambientale: efficienza energetica e sostegno alla riconversione a favore delle fonti rinnovabili; risparmio energetico e riduzione dei consumi; introduzione di sistemi per il riuso e per il riciclo delle risorse naturali e dei rifiuti, riduzione degli inquinamenti e degli impatti ambientali, sostegno e sviluppo del trasporto pubblico nonché di tutte le forme di mobilità sostenibile e a impatto zero.

Condividere e promuovere buone pratiche di economia circolare, per cui le eccedenze prossime a diventare rifiuti diventano risorse producendo un valore che vale per 4: economico, sociale, educativo e ambientale.

Diffondere la pratica del “bilancio dell’interesse pubblico” nella valutazione delle politiche urbane, in particolare da parte delle amministrazioni pubbliche, ovvero la necessità, ogni qualvolta si proceda ad interventi di trasformazione urbana, di considerare gli interessi in gioco ma anche chi ne trae beneficio nonché gli effetti urbani più diffusi che ricadono sulla popolazione e sull’organizzazione della città, per far sì che la bilancia penda dal lato dell’interesse pubblico.

In sintesi è necessaria una politica delle periferie articolata, complessa, integrata e non limitata alla logica del “rammendo”, accompagnata da una visione di città che metta insieme il centro con le periferie e viceversa e ne valorizzi l’interdipendenza. C’è bisogno quindi di una “sartoria sociale”, che non consideri le periferie luoghi di degrado e come una parte di città marginale, ma come luoghi di energie sociali e culturali importanti, che possono essere protagoniste del proprio riscatto. Nelle periferie infatti, oggi c’è una grande voglia di rinascita che si nutre del forte spirito di resilienza dei suoi abitanti che, con energia e creatività, contribuiscono a ridare dignità a questi luoghi. Ma pesa la latitanza delle Istituzioni a cui chiediamo invece visione e concretezza per trasformare definitivamente le periferie in luoghi vitali, da cui ripartire per ripensare tutta la città, “là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi”, per citare le parole di Papa Francesco, “i nuclei più profondi dell’anima delle città” (Evangelii Gaudium, n. 74.).