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Da spreco a risorsa, la nostra economia circolare di legami

di Lidia Borzì

“La vita del consumatore, la vita fatta di consumi, non si riduce all’acquisto e al possesso di qualche cosa. [..] Ciò che la contraddistingue semmai, è l’essere in continuo movimento (Z. Bauman, 2007)”.

Con questa illuminazione del compianto sociologo, ripasso nella mente le ultime settimane di impegno delle ACLI di Roma, dalla Giornata Nazionale per la prevenzione dello spreco dello scorso 4 febbraio, alle serate passate a Via Ramazzini e a vicolo della Penitenza, al fianco della Croce Rossa per l’emergenza freddo.

Due esperienze chiave che ci hanno permesso di “mettere in movimento” ben più di semplici beni di consumo.

La Giornata per la prevenzione dello spreco, in una città senza pace e martoriata delle emergenze, è stata anche l’occasione per accendere i riflettori, sulle crescenti diseguaglianze sociali di cui il paradosso dell’abbondanza rappresenta il paradigma perfetto.

Il cibo, nella nostra città, c’è per tutti, ma non tutti ne hanno accesso.

C’è chi usa con disinvoltura la pattumiera, perché compra più del necessario o non controlla le date di scadenza, e chi invece è costretto a rovistare nei cassonetti o andare a frugare negli scarti del mercati a fine giornata.

Un percorso circolare appunto, che mira allo scarto zero.

La cosiddetta economia circolare, è dunque un nuovo paradigma, una sfida che per noi si traduce sostanzialmente nel mettere in circolo talenti, competenze, tempo, risorse umane, legami in poche parole una rete sociale a 360 gradi.

Ecco allora che si trasforma l’avanzo del pane invenduto, in cibo per le mense degli indigenti.

Si trasforma la busta di insalata rimasta chiusa in frigo in un campanello per il prossimo acquisto.

La lista della spesa di scorta, in un elenco ragionato di necessità.

E qui ci sentiamo chiamati in causa come movimento educativo di pedagogia sociale, perché la nostra mission è educare andando nelle scuole, nelle famiglie, nei nostri circoli e anche nelle strade – come abbiamo fatto con il nostro progetto “il Pane a Chi Serve 2.0” – per proporre piccoli gesti concreti in un orizzonte di senso. Una vocazione per le ACLI, ma anche un dovere morale come cristiani laici impegnati nel sociale.

“Sprecare cibo” – ha detto Papa Francesco in occasione della recente Giornata per la prevenzione dello spreco – è “negarlo ai poveri”, si tratta non solo di “un’ingiustizia”, ma “di più: è un peccato”. Un’ingiustizia, un peccato e uno sperpero di soldi. È stato calcolato che ogni famiglia spreca in un anno 145 kg di cibo, per un costo di 360 € annui – mentre lo spreco complessivo ammonta a circa 16 miliardi di euro, ovvero l’1% del Pil nazionale -, che potremmo investire molto meglio che nella pattumiera.

(dati: Waste Watcher)

Questi dati fanno ancora più male se li leggiamo avendo negli occhi le immagini dei senza fissa dimora che abbiamo incontrato al centro di prima accoglienza di via della Penitenza, che da rifugio temporaneo, in piena emergenza freddo, ha protratto la sua accoglienza fino al 28 febbraio nei locali messi a disposizione dal Municipio Roma 1 Centro.

Il prolungamento del servizio nasce con l’idea di andare oltre l’emergenza della distribuzione dei generi alimentari per permetterci di farci carico dei bisogni di quelle persone che ogni sera abbiamo visto in fila davanti a noi in cerca di un piatto caldo, un posto per dormire al caldo, ma anche un’importante occasione di ascolto perchè giorno dopo giorno, gli ospiti sono diventati amici, i volti sono diventati storie, le mani tese, legami e promesse di non dimenticarci di loro.

I nostri amici non hanno una casa, ma hanno un forte desiderio di fare progetti di vita e noi vogliamo aiutarli a modo nostro, mettendo in moto la nostra rete interna – favorendo ad esempio l’esigibilità dei diritti, –  ed esterna, allargando i legami creati.

Piccoli passi concreti, che danno senso a quanto abbiamo donato. E non uso a caso la parola “dono”, invece di “regalo”. Nel regalo infatti prevalgono la dimensione dell’obbligo e del valore dell’oggetto. Nel dono, la dimensione della gratuità e del legame, a prescindere dal valore oggettivo.

Certo, anche il dono è costoso, ma le sue principali ‘monete’ sono l’attenzione, la cura, soprattutto il tempo. Per questo il dono sorprende. Lo abbiamo letto negli occhi dei nostri amici. E in quello stupore c’è tutto il valore dell’unica rivoluzione che abbia un senso nella nostra comunità: quella della cultura della cura, che ci rende capaci di prenderci cura l’uno dell’altro, di metterci affianco e camminare insieme, per una comunità che non lasci indietro nessuno.