L'intervento introduttivo al convegno di apertura in campidoglio
Intervento al Convegno di apertura del Congresso Provinciale delle ACLI di Roma – Il Coraggio della Pace, dalla Capitale una luce di Speranza” – di Lidia Borzì
Benvenuti a questo convegno che apre il nostro 27° congresso provinciale dal titolo “Il Coraggio della Pace, dalla Capitale una Luce di speranza”.
Un CON-VEGNO che apre un CON-GRESSO, quindi due impegni diversi con una radice comune: quel “CON” che ci richiama all’importanza del NOI, della partecipazione, un noi associativo, quello delle ACLI, che converge per confrontarsi con la comunità.
Per questo oggi abbiamo scelto di invitare una rappresentanza significativa, anche se non esaustiva, della nostra rete, perché la rete è metodo e sostanza dell’azione sociale delle ACLI di Roma. Siete amici e amiche con cui ogni giorno camminiamo verso il Bene Comune, creando legami di prossimità e prendendoci cura delle persone a tutto tondo. Non è una rete frammentata, ma fatta di connessioni stabili come ci ha esortato a fare Papa Francesco con il suo messaggio inviato al nostro Labor Dì.
Oggi abbiamo qui le Istituzioni: Roma Capitale, con il Sindaco Roberto Gualtieri, che ringraziamo per l’ospitalità in questa cornice; la Regione Lazio, rappresentata dall’Assessore all’Inclusione Sociale, Massimiliano Maselli, e la Chiesa di Roma.
Siamo profondamente grati al neo-vicario di Sua Santità, Mons. Baldo Reina, che rappresenta una Chiesa in uscita, vicina alla comunità, e che ogni giorno accompagna e incoraggia il nostro impegno sociale.
Sono qui rappresentati i principali pilastri del nostro essere laici impegnati nel sociale, nel segno di una sussidiarietà pienamente agita: il Vangelo, che è la luce che guida il nostro cammino e la Costituzione, simbolo delle istituzioni e fondamento del Paese; e la rete di connessioni stabili per creare legami di prossimità.
Ecco, questi sono i nostri valori oggi: pace, dignità, lavoro e speranza, temi cruciali del vivere umano, intrecciati e interdipendenti, che richiedono alleanze e sinergie.
Dedicare questa mattinata di riflessione su un tema cogente come “Il coraggio della pace”, intrecciato con lavoro e dignità, è oggi indispensabile.
Viviamo in un mondo martoriato dalle guerre, sono ben 56 i conflitti in atto, il numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e oscurato dalle crescenti disuguaglianze sociali.
La pace che auspichiamo possa tornare presto, la poniamo in alto, come luce che illumina di speranza il mondo.
Una Pace che sappiamo che si costruisce dal basso: nelle relazioni giuste, nell’armonia tra generazioni, nel dialogo tra le differenze, a partire da quella tra uomini e donne; nelle istituzioni vive; nelle periferie da riqualificare; nei diritti da tutelare, a partire dal lavoro buono, tutti temi al centro dei lavori di questa mattinata di riflessione.
Dal Campidoglio, quindi, vogliamo lanciare con coraggio un richiamo a costruire la pace quotidiana, in un’ottica glocale, mettendo insieme prossimità e universalità, Roma e il mondo, secondo la vocazione di questa città.
Abbiamo scelto di fare questa riflessione proprio da qui, dal cuore di Roma, con uno sguardo sia al mondo che al nostro territorio, ai suoi quartieri e alle sue periferie geografiche ed esistenziali.
Un modo anche per prepararci all’imminente Giubileo della Speranza: un grande evento per credenti e non credenti, che chiama tutti a una responsabilità collettiva, affinché le luci della speranza possano illuminare il mondo!
Inoltre, questo luogo ha un valore profondo perché è “la casa dei romani e delle romane.” Qui abbiamo più volte consegnato alle istituzioni cittadine il nostro servizio al Bene Comune, fatto di ascolto, buone pratiche e proposte, fianco a fianco agli ultimi, ai fragili, ai poveri e alle persone a rischio di esclusione. Questi momenti li abbiamo chiamati Cantieri. Sono cantieri di un futuro che si costruisce nel presente, dove contano il confronto, la condivisione e l’impegno per costruire una cittadinanza attiva.
Il coraggio della pace ci richiama a riflettere su una verità profonda: il mondo ha smarrito il cuore. E questo cuore va ritrovato al più presto, perché la pace nasce dal cuore, da cuori concordi.
Non dalla paura della guerra, ma dalla volontà concreta di creare con il cuore spazi di pace. Papa Francesco, con coraggio infinito, si sta spendendo molto per la pace. Allora avere il coraggio della pace significa metterci il cuore per ricucire gli strappi, come abbiamo discusso nell’assemblea diocesana del 25 ottobre.
Avere il coraggio della pace significa anche essere consapevoli che non c’è pace dove c’è guerra, ma non c’è pace anche dove non è garantita la dignità umana: la pace manca quando c’è la guerra, che è quanto di più disumano esista perché spezza il futuro, distrugge luoghi fisici, ma ancor peggio annienta vite. Non c’è pace senza perdono e senza giustizia. Non c’è pace dove i bambini muoiono in una scuola colpita dalle bombe; dove i genitori vedono partire per le armi figli che forse non vedranno più; dove la vita è scandita dal suono delle sirene.
Tutto questo ci tocca direttamente. La tentazione di pensare che la guerra non ci riguardi da vicino, solo perché viviamo in un Paese che viene da 80 anni di pace, è fuorviante e pericolosa. La pace va coltivata, difesa e tutelata ogni giorno, anche da noi, anche qui! Perché la guerra può arrivare all’improvviso, come ci raccontano le tante donne ucraine accolte e sostenute al loro arrivo a Roma.
Se è vero che la guerra la decidono i grandi della terra, è altrettanto vero che noi abbiamo le armi più importanti: educazione alla pace e dissenso verso la guerra.
In questo spirito le ACLI sono state molto coraggiose perché sono state tra le prime a sostenere “senza se e senza ma” che alle armi bisogna rispondere con la diplomazia, non con l’escalation militare. Per questo abbiamo promosso “La via maestra” con CGIL e altre cento organizzazioni della società civile, scendendo in piazza con manifestazioni pacifiche per chiedere pace, lavoro e dignità.
Ma la pace manca anche in casa nostra, quando si vive in condizioni di fragilità estrema, quando si fanno i conti con le tante facce della povertà: economica, educativa, relazionale e sanitaria. Non c’è pace quando le donne sono costrette a firmare dimissioni in bianco; quando la maternità è un lusso; quando ci sono bambini di periferia che non hanno mai visto il Colosseo; quando flessibilità fa rima con precarietà; quando un immigrato è sballottato da un barcone all’altro come fosse un pacco indesiderato o che peggio ancora perde la vita in fondo alle acque dei nostri mari.
Non c’è pace per chi non può curarsi per i tempi della sanità; o quando un anziano solo passa le giornate aspettando una telefonata che non arriva. Non c’è pace quando si muore per un lavoro non sicuro; quando viene a mancare il lavoro dignitoso e stabile, indispensabile per costruire una società pacifica e inclusiva. E su questo fronte non possiamo deludere i giovani, costretti a emigrare per inseguire i propri sogni.
In poche parole, non c’è pace quando non c’è dignità. Per questo la pace diventa un impegno per il quale dobbiamo spenderci ogni giorno, affiancando a questa parola un’altra essenziale nella nostra grammatica di azione sociale: cura.
Cura intesa in maniera olistica, come pilastro fondamentale per ricostruire la coesione sociale e il benessere.
Cura e pace, pace e cura: due semi che piantiamo ogni giorno nelle nostre relazioni, collaborando tanto con realtà del mondo cattolico, quanto con quelle del mondo laico, unite dalla promozione della dignità della persona. È questo il fondamento delle nostre opere di artigianato sociale, che ci vede al fianco di bambini, giovani, donne, famiglie, anziani, immigrati e fragili, sempre pungolando la politica in modo costruttivo.
Avere il coraggio della pace significa quindi assumerci la responsabilità di essere artigiani di pace quotidiana, contribuendo a trasformare le ferite in feritoie di luce e di speranza.
Sarà questa speranza la grande protagonista dell’imminente Anno Santo, un Giubileo che auspichiamo possa portare pace nel mondo e migliorare il volto della nostra città. Non solo dal punto di vista strutturale, come testimoniano i tanti cantieri in corso, ma anche sul piano umano. Questo Giubileo deve rappresentare un’occasione per aprire Porte Sociali insieme alle Porte Sante, perché fede, solidarietà e sussidiarietà siano i cardini di un Giubileo di Speranza, che profuma di futuro.
Il Giubileo può essere l’occasione per dimostrare che Roma può ancora essere una “fiaccola posta in alto” che emana speranza. Una meta concreta per un nuovo umanesimo urbano, fondato sulla sostenibilità delle relazioni, dell’economia, della solidarietà e del rispetto ambientale. Un Giubileo che celebri la persona e la partecipazione, un laboratorio urbano e metropolitano per una comunità rigenerata e accogliente.
Come ACLI di Roma ci auguriamo tutto questo e ci impegniamo a fare la nostra parte, con umiltà e passione, per onorare il mandato che Papa Francesco ci ha consegnato: costruire Cantieri di Speranza. Speranza incarnata nelle persone, nelle loro storie, nei loro bisogni.
Da questa meravigliosa piazza, con la sua bellezza immaginata da Michelangelo, vogliamo rinnovare il nostro impegno per far risplendere la luce della giustizia sociale e della pace. Una luce che riscalda e unisce. Una luce che non conosce confini, ma solo fratelli e sorelle con diritto al loro “per sempre”, a una vita e a un lavoro dignitoso, sicuro e stabile.
Una luce che possa davvero far volare alta la speranza in ogni angolo della nostra città e del mondo intero.