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Roma, città della speranza

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Gratitudine e speranza. Facciamo nostre queste due parole che Papa Francesco ha messo al centro dell’omelia pronunciata nella Basilica di S. Pietro, in occasione del Te Deum dello scorso 31 dicembre. Parole che rappresentano un faro per rileggere, alla loro luce, il nostro impegno e la nostra azione sociale, del recente passato ma, soprattutto, del prossimo futuro. Papa Francesco ha, infatti, parlato in quella circostanza come Pastore della Chiesa universale, ma anche come Vescovo di Roma che ci accompagna e ispira costantemente per essere nella nostra comunità urbana e metropolitana testimoni credibili e custodi operosi del messaggio evangelico.

A Papa Francesco e al suo messaggio di fine anno va la nostra speciale attenzione e volontà di rispondere. Anzitutto partendo dalla stella polare della nostra azione sociale ovvero l’ascolto di chi non ha voce, perché crediamo fortemente che proprio dall’ascolto possa discendere la città della speranza e quella bellezza, essenziale invisibile agli occhi, di cui parla “Il Piccolo Principe”, che è fatta di relazioni buone e legami di cura. E’ questa cura delle relazioni che cura la città dai suoi mali, antichi e nuovi: esclusione, solitudine, indifferenza, povertà.

Come amiamo dire alle ACLI di ROMA, la speranza non è utopia, ma si colloca esattamente tra visione e concretezza, realismo dello sguardo sui bisogni e immaginazione nella creatività delle risposte. Non va confusa, ci ha detto Papa Francesco il 31 dicembre, con il facile ottimismo, ma nasce dalla fede nel Dio incarnato, che “dona un nuovo modo di sentire il tempo e la vita”.

Di questa speranza noi siamo seguaci in cammino, pellegrini, come afferma il tema del Giubileo del 2025. Un cammino comunitario verso la realizzazione di una comunità delle connessioni stabili.

Una rete che abbraccia i soggetti di prossimità- la Chiesa, le istituzioni civili, la famiglia, la scuola, le parti sociali, – in un’alleanza senza sovrapposizioni, ma sinergica e concorde che ci aiuti a discernere i segni dei tempi e a contrastare la cultura dello scarto, a prendere in carico le persone a tutto tondo in questo difficile tornante storico di incertezza, guerre, diseguaglianze, precarietà.

Sono proprio le connessioni stabili che Papa Francesco ha fortemente incoraggiato nel suo straordinario messaggio dello scorso 13 dicembre indirizzato ai partecipanti al Labor Dì promosso dalle ACLI di Roma, un evento che ha raccolto attorno ai grandi interrogativi sui giovani e sul loro futuro molti esponenti del mondo associativo, imprenditoriale, sindacale, istituzionale, formativo, oltre alla presenza massiccia di 1.300 giovani. Un messaggio scritto con il calore di un nonno e la lungimiranza di uno statista in grado di indicare la strada e la mappa da seguire per costruire insieme cantieri di sogni e speranza.

Cura dei luoghi e delle relazioni, centralità della dignità umana, attenzione agli ultimi e ai penultimi. Questa la ricetta per contribuire a generare quella bellezza da affiancare a quella che nella nostra città è visibile in ogni piazza, in ogni angolo, in ogni monumento. Accanto a questa ‘Grande Bellezza’ che è, come dice Papa Francesco nel suo messaggio del 31 dicembre, “un’esperienza che infonde speranza”, vogliamo contribuire all’esperienza della condivisione che moltiplica passioni e competenze diffuse nella città, al centro e nelle periferie. Vogliamo incamminarci verso il Giubileo insieme agli uomini e alle donne di buona volontà, perché sia un grande evento spirituale e insieme un’occasione di sviluppo economico, di potenziamento delle strutture e dei servizi, di lavoro e di rilancio della nostra città, ma soprattutto una occasione che non possiamo mancare per tessere coesione sociale.

Un ”tempo opportuno” per ascoltare, interpretare, elaborare proposte. Mettendo al centro le persone e la loro dignità, i loro bisogni e anche il loro protagonismo civico.

Una “sfida” di corresponsabilità che ci chiama a essere artigiani del sociale e architetti di speranza.

Artigiani: perché ci muoviamo sul terreno della passione e della concretezza dell’azione sociale.

Architetti: perché siamo coloro che immaginano una città diversa e possibile, nell’umile consapevolezza di essere un tassello di un grande mosaico che può fare di Roma una città ‘giubilare’, secondo il significato originario del termine.

Giubilo: gioia vera, condivisione che rigenera energie e visioni di futuro.