Via Prospero Alpino, 20 - 00154 Roma

Ritrovare la freccia del futuro

“…Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme”[1].

Questo passaggio della nuova lettera enciclica di Papa Francesco, “Fratelli tutti”, pubblicata lo scorso 3 ottobre, arriva in un momento in cui occorre, più che mai, un forte appello alla corresponsabilità e alla fraternità.

Il nostro Vescovo ci ha ricordato, ancora una volta, che siamo noi i primi e ultimi responsabili della lezione che vogliamo trarre dalla pandemia, epocale e globale, che ci ha catapultato in una emergenza sanitaria e sociale insieme, generando una crisi di sistema, che non risparmia nessun ambito della nostra vita: dall’economia al lavoro, dalle relazioni interpersonali alla quotidianità delle famiglie, dal mondo delle imprese a quello dell’educazione, dalle Istituzioni alle forme della democrazia.

Una crisi che, purtroppo, pensavamo di aver lasciato alle spalle, ma che invece, si trascina pesantemente portando con sé il drammatico fardello del loockdown dei mesi scorsi e un senso di inquietudine e incertezza che cresce giorno per giorno a fronte dell’aumento dei contagi, rischiando di schiacciarci nella morsa del presente.

La crisi implica una scelta, come richiama l’origine della parola (dal verbo greco krinein, scegliere, appunto), dunque è anche sempre un crinale di futuro da vivere come opportunità, ma stavolta c’è quel virus tanto invisibile quanto pericoloso che ancora ci minaccia e condiziona le nostre scelte.

L’unica cosa certa è che la fase della ricostruzione sarà lunga e complessa, andrà ben oltre l’emergenza sanitaria che investe come una “tempesta perfetta” tutta la comunità. Non dobbiamo combattere solo la pandemia del virus, ma anche e soprattutto la pandemia sociale.  E questo ci fa capire che se la diffusione di un virus è un fatto naturale, la forma sociale che questo assume, i fenomeni e le conseguenze che ne derivano, è umana, dunque è una nostra responsabilità. Anzi: una corresponsabilità. E dunque, “uscirne insieme”, come direbbe don Milani, è un compito a cui non possiamo sottrarci. Come singoli e come società.

Anche le ACLI di Roma hanno fatto la loro parte in questi mesi toccando con mano la molteplicità dei bisogni, tra quelli vecchi e conclamati e quelli nuovi e, talvolta, insospettabili, e cercando di dare risposte in una logica di rete, metodo e sostanza ormai del nostro impegno.

Nei mesi di lockdown, abbiamo ricevuto tantissime richieste di aiuto[2] su tutti i fronti dalle tutele alle misure di sostegno, dal lavoro al cibo, quest’ultimo in modo preponderante, anche da persone che prima della pandemia non si erano mai rivolte ai servizi di assistenza.

Ma, a ben guardare, ci siamo resi conto che forse la “fame” più acuta non riguarda solo la stretta sopravvivenza, ma è anche quella di futuro. La paura ruba il futuro come orizzonte verso cui muoversi, lo trasforma in una minaccia, in un oscuro domani che mette in forse le nostre certezze, materiali e morali.

Possiamo dire che questo nemico sconosciuto che ha assalito le nostre vite ha prodotto – oltre che perdite umane che vengono espresse in numeri, ma che non possono ridursi a essi – una vera e propria sindrome da futuro che sta avvelenando i pozzi profondi della nostra convivenza e del nostro stile di vita.   

Dobbiamo interrompere la filiera del negativo, che, dalla crisi sanitaria ha condotto al lockdown e da questo alla crisi dell’economia e del lavoro, infine alla crisi sociale, aggravata anche dalle carenze di un welfare inadeguato.

É da questa altrettanto temibile “malattia” che dobbiamo guarire. É qui, in questo campo, vecchio e nuovo, che dobbiamo gettare semi di speranza.
E in questo momento, alle soglie di un autunno tanto piovoso quanto caldo, anche per i temi al vaglio del Governo in cerca di nuovi assetti, e in vista delle prossime elezioni amministrative, che ci riguarderanno da vicino, alle associazioni di prossimità come la nostra è richiesto un supplemento di profezia. La vorrei chiamare una nuova spiritualità del sociale. La capacità di far fronte alla realtà e insieme di vedere oltre, necessaria anche alla Politica e alle Istituzioni, perché ritrovino le proprie radici nell’etica e nei valori.

In questo contesto, leggere il Covid come segno dei tempi significa potersi spingere oltre le strettoie del presente. Muoversi ancora una volta tra la concretezza delle difficoltà presenti e la visione di una potenzialità di rinnovamento, di una svolta generativa, in una ricerca comune di risorse e di risposte.

La freccia del futuro per noi dunque corre lungo queste due direttrici dell’adesione al presente e della costruzione del futuro. Freccia vuol dire non tanto e non solo velocità, ma soprattutto direzione e senso di marcia.

E forse è questo che manca: una direzione chiara, un senso di marcia condiviso.

Ecco perché ritrovare la freccia del futuro mi sembra una metafora efficace per descrivere la più urgente delle responsabilità che aspetta a tutti noi, in primis alla politica: la responsabilità del futuro.

 

[1] Lettera enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, cap. 1, paragrafo 32

[2] Da marzo ad agosto, oltre 350.000 chiamate al Segretariato Telefonico (+46,7% rispetto al 2019) e oltre 190.000 visualizzazioni sul sito www.acliromaservizi.it (+ 334% rispetto all’anno precedente)