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Ripartire dalle donne per seminare speranza

L’ 8 marzo, Giornata internazionale della Donna, cade quest’anno in un momento di gravi difficoltà, per l’Italia e per il mondo. La pandemia globale con tutto il suo corredo di paure, incertezze, rischi di esclusione rende più che mai necessario uno sguardo femminile per fare un bilancio e soprattutto delineare una prospettiva sulla condizione delle donne, nella società, nel lavoro, nell’economia.

Se è vero infatti che il pieno riconoscimento delle donne, non solo dei loro diritti ma anche del loro valore, è un indicatore essenziale del grado di civiltà e della qualità della democrazia, il fatto che le donne risultino il soggetto più penalizzato dalla crisi pandemica e sociale è di per sé eloquente. Un solo dato: sono donne nel nostro Paese il 70% dei nuovi disoccupati. Questo ci deve far riflettere, e soprattutto agire per riportarle al centro dell’agenda politica e sociale. Anzi per ribaltare il loro ruolo da escluse a protagoniste della rinascita.

Non si tratta solo di tutelare una fascia debole, ma di valorizzare una risorsa indispensabile al benessere di tutti. Proprio noi donne possiamo essere infatti le portatrici di un nuovo modello di sviluppo più equo e sostenibile. I nostri talenti, le nostre competenze, i nostri ‘saperi’ vanno sottratti all’invisibilità e alla marginalità.

Da donna e come Presidente delle ACLI di Roma che ha la centralità e la dignità del lavoro nel suo DNA, non posso che partire da qui, dalla valorizzazione del lavoro delle donne. Non solo in termini di diritti da tutelare, ma di percorsi da promuovere, per e con le donne. A cominciare dal pieno riconoscimento del valore sociale e economico del lavoro di cura, architrave della famiglia a sua volta cellula primaria della società. La pandemia ha confermato la sua centralità nella tenuta dei legami interpersonali, ma nello stesso tempo ha mostrato le fragilità di un nucleo familiare chiuso nell’isolamento e nel distanziamento coatto, privato delle reti parentali e informali.

Le donne stanno pagando il prezzo più alto, anche nel nostro territorio, come dimostrano le numerose richieste di sostegno e accompagnamento materiale e psicologico arrivate al nostro Segretariato sociale e ai Servizi di CAF e Patronato.

Molta strada resta da fare nella tutela della maternità, a cominciare dall’attuazione di una concreta politica di conciliazione che non costringa le donne a scegliere tra maternità e lavoro, tenendo conto del dato inaccettabile che già la nascita di un figlio causa la perdita o la rinuncia al lavoro e l’entrata del nucleo familiare nell’ area di rischio della povertà. L’inverno demografico del nostro Paese ruba il nostro futuro e compromette quello del nostro stesso sistema di welfare, nel quale l’equilibrio intergenerazionale gioca un ruolo fondamentale per la sua sostenibilità.

Altrettanto importante è il superamento della disparità salariale con gli uomini, un vero tema di giustizia e di equità, che contrasta con gli stessi principi costituzionali. Radicata nello spirito e nella lettera della nostra Carta fondamentale è l’eliminazione degli ostacoli, materiali e culturali, che impediscono la piena realizzazione delle donne in ogni campo del vivere associato, la loro progressione di carriera, fino ai luoghi decisionali della vita economica, produttiva e politica. La crisi pandemica e sociale comporta un alto rischio che queste “promesse” sancite dal dettato costituzionale siano disattese nella realtà, o che sembrino beni di lusso quando è minacciato perfino il mantenimento di una vita lavorativa dignitosa, nella sicurezza e nella cornice dei diritti.

Non si tratta di rivendicare posti o ruoli, secondo un’ottica ormai superata di ritagliare per le donne spazi di speciali tutele. Dobbiamo andare oltre le “quote rosa” e semmai mirare alle cosiddette “quote per merito”, come a dire “pari opportunità per pari capacità”, per mettere a frutto le risorse e le energie trasformatrici delle donne, generatrici di futuro.

La recessione dell’economia travolta dalla crisi sanitaria ha colpito nelle donne i soggetti già fragili, più esposti ad un mercato del lavoro instabile e precario, investendo gli ambiti già più deboli del lavoro dipendente e autonomo. Le lacune di un welfare insufficiente (servizi, tutele, ammortizzatori) si sono sommate al venir meno delle reti informali di accompagnamento e sostegno, da quelle di parentela a quelle di vicinato.

Le ACLI di ROMA hanno raccolto oltre 500.000 domande di aiuto nel corso dell’ultimo anno, per esigenze di sostentamento materiale, aiuto di tipo psicologico, accompagnamento nei percorsi di esigibilità dei diritti, fino alla richiesta di cibo, per più del 60% da parte di donne appartenenti a fasce sociali che mai si erano accostate a questo livello di indigenza.

La povertà femminile riguarda il lavoro dipendente quanto quello autonomo, ugualmente travolti dalla pandemia sociale, nasce dalla riduzione dei redditi, personali e familiari, aggravandosi  specie in presenza di figli o di anziani disabili. Ma questa povertà colpisce più radicalmente le donne nella loro dignità, nella loro autostima, andando a incentivare forme di ripiegamento e depressione, isolamento e sfiducia nel domani, terreno fertile per tante forme di violenza.

Lavoro dignitoso e piena occupazione, welfare promozionale e sartoriale, commisurato alle esigenze differenziate anche lungo il percorso della vita, strategie formative di educazione alle differenze, incoraggiamento dell’imprenditoria femminile, contrasto culturale agli stereotipi, nei media, nel linguaggio, nella scelta dei percorsi formativi. Sono altrettante direzioni di una possibile società a misura di donna, che è poi una società pienamente umana. Superato ogni dualismo contrappositivo, le donne e gli uomini possono edificare insieme una rinnovata alleanza fondata sul riequilibrio delle opportunità. Uniti nella costruzione di una società e di una democrazia della cura, delle reti costruite dal basso, dell’accoglienza inclusiva e dell’ascolto attivo dei bisogni.

In questo come donne possiamo portare uno sguardo generativo, una sapienza che è del sentimento e della ragione, una capacità di tenere insieme i dettagli e il contesto, l’immediatezza degli effetti e la lungimiranza delle prospettive. Una sguardo differente, che raddoppia la vista sul mondo, e in questo modo – esattamente come avviene nel nostro meccanismo fisiologico della vista-  dà profondità di veduta e di orizzonte.

Uno sguardo che consente anche un punto di vista della narrazione sociale più ricco e più articolato. Nella politica come nella cultura, nella socialità come nella partecipazione. Una sinergia virtuosa di donne e uomini può far ripartire un mondo lacerato da troppi conflitti che spesso si manifestano in atti di violenza, fisica e psicologica, contro le donne. Un fenomeno che non possiamo tollerare, anche per i suoi riflessi educativi. Si aggiunge, anzi si aggrava in un mondo devastato dal nemico invisibile che da un anno colpisce e mortifica la nostra società, le nostre vite, la nostra quotidianità.

Per questo accompagnare e promuovere le donne nei loro percorsi di piena cittadinanza è per noi delle ACLI di Roma un impegno e un sogno da realizzare insieme. Sognare in grande e agire nel piccolo, per gettare il cuore oltre l’ostacolo.  Visione e concretezza per seminare speranza che, come dice P. Ricoeur, “viene a noi vestita di stracci perché le confezioniamo un abito di festa.”

A cura di Lidia Borzì