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Riflessione su Roma Capitale

di Lidia Borzì, Presidente delle ACLI di Roma

La Capitale si è svegliata questa mattina con l’epilogo di una storia che ci teneva in bilico da mesi, un periodo trascorso su un ottovolante, tra svariati terremoti e scandali che hanno fatto tremare più volte uno dei colli più simbolici della nostra città e del Paese.

C’è, però, veramente poco da esultare, un sindaco che si dimette è un fallimento che ha ripercussioni a cascata su tutta la comunità. La città eterna necessita di un’amministrazione trasparente, credibile e stabile. Le organizzazioni sociali che, come le ACLI incontrano le tante fasce più fragili della società, registrano ogni giorno, il forte bisogno di concretezza e speranza.

Siamo alle porte di un evento planetario come il Giubileo della Misericordia che non riguarda solo i credenti, ma ha un valore universale che tocca da vicino Roma e tutti i romani, una grande occasione da capitalizzare e  che invece rischiamo di vanificare.

Serve una rinascita da tutti i punti di vista, soprattutto per non disperdere il lavoro fatto anche insieme ai Municipi, veri e propri enti di prossimità, e alle tante organizzazioni con le quali abbiamo collaborato per la ricostruzione di un tessuto sociale sgretolato anche a causa della mancanza di fiducia nelle Istituzioni, una crisi che si unisce a quella economica, relazionale e di partecipazione.

Abbiamo sotto mano la grande opportunità, offerta dall’Anno Santo Straordinario, di affiancare, ai tanti cantieri diffusi nella città, un grande Cantiere della Speranza dal taglio culturale, educativo e sociale.

E allora, alla luce di questo, mi chiedo se non sia necessario mettere da parte i personalismi, il tifo fazioso e la voglia di festeggiare e fare invece una seria riflessione sulla situazione politica di questa città.

Lo dobbiamo al nostro senso di responsabilità civica, lo dobbiamo a chi prende i mezzi per andare a lavorare e combatte contro gli atavici malfunzionamenti. O a chi abita fuori mano, come me, e prende la macchina per ogni spostamento, mettendo in conto che a causa dei perenni rallentamenti, dovrà uscire due ore prima di casa per arrivare in tempo alla prima riunione della giornata o alle famiglie che non arrivano alla terza settimana, a quelle hanno a carico un parente invalido o che stanno affrontando una grave malattia.

Lo dobbiamo a quelli che hanno perso il lavoro e a quelli che non l’hanno mai avuto, ai pensionati che vanno avanti a pane e latte per risparmiare sulla misera pensione. Ai padri separati in fila alla Caritas o alle migliaia di migranti in cerca di accoglienza, fondamento alla base di una vita dignitosa.

Qui non è una questione di scontrini. La città sta pagando già da parecchio un conto salato, un conto che riusciremo a saldare solo mettendoci al servizio del Bene Comune, ciascuno nel proprio ambito di impegno, con serietà, continuità, concretezza e visione.

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