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Lidia Borzi su Lazio Sette: Il lavoro? per donne e giovani non c’è

DI GIOVANNI SALSANO

Lavoro che c’è e non c’è, lavoro che cambia e fa cambiare, soprattutto i giovani, che devono adeguarsi a un mercato sempre più fluido, vario e incerto. In prima linea a sostegno dei lavoratori ci sono le Acli che, proprio in questi giorni, a Napoli, stanno riflettendo nell’annuale incontro nazionale di studi sul tema “Valore Lavoro. L’umanità del lavoro nell’economia dei robot”.

Ne abbiamo parlato con Lidia Borzì, presidente Acli della Provincia di Roma.

Qual è la situazione del lavoro giovanile e quali dinamiche caratterizzano il mercato del lavoro nel Lazio?

Ci troviamo in un momento importante di ripresa del mercato del lavoro, anche se al palo restano sempre donne e giovani. Un problema cronico, che tocchiamo con mano ogni giorno con il nostro osservatorio fatto di incontri con oltre 150mila persone l’anno. Il nostro punto di vista è incentrato su Roma Capitale e la sua provincia che pesa per 72% sulla Regione Lazio, ma che è anche paradigmatica di tutto il Paese, nel bene e nel male. Nel caso dell’occupazione giovanile soprattutto nel male, purtroppo. E quanto emerge con un’ultima ricerca nazionale, progettata dall’Iref e realizzata con il Dipartimento studi e ricerche delle Acli, in linea con quanto già rilevato da un’indagine Acli Roma “Avere 20 anni, pensare al futuro”, rimanda un’immagine dei giovani che da una parte preoccupa, dall’altra deve farci assumere delle responsabilità urgenti. Il lavoro manca e quando c’è è spesso precario, in nero, mercificato. Solo un numero bassissimo di giovani (il 28% nella ricerca Acli), fa il lavoro dei sogni, quello per cui ha studiato e si è specializzato. Abbiamo troppi giovani overskilled, cioè troppo qualificati, che non trovano la giusta collocazione. Ma, nonostante questo, come dimostra la nostra ricerca, ritengono importante la formazione permanente e questo fa loro onore. Ad essersi dovuti accontentare, secondo la nostra indagine, sono soprattutto quelli della cosiddetta G2, i ragazzi con genitori stranieri.

Altro dato che fa riflettere, è che i giovani espatriati stanno meglio di quelli che rimangono.

Quali sono le proposte comprese nel “pacchetto formazione” che come Acli presenterete a breve?

Alle mutevoli esigenze del tessuto produttivo rispondiamo con un rafforzamento e ampliamento dell’offerta formativa nel suo complesso. Per questo, nel corso del 50° incontro di studi delle Acli, verrà presentato un piano strategico, mutuabile anche a livello regionale, articolato in 6 punti: investire nella formazione professionale, consolidare e diffondere l’infrastruttura formativa, innovare le qualifiche e i diplomi, sviluppare il sistema terziario professionalizzante e investire in un sistema accogliente di formazione professionale. Dietro alle proposte c’è sempre un percorso ben preciso, “visione e concretezza”. Da qualche anno, come Acli di Roma ci stiamo impegnando per diffondere un cambiamento culturale per riportare l’attenzione sul valore del lavoro quale virtù capace di far crescere la persona e la comunità avendo come faro la Dottrina sociale della Chiesa.

Nel convegno di Napoli si parla di “cambiamenti dovuti a processi di automazione, che potrebbero portare a disuguaglianze più marcate”. Ci può fare qualche esempio?

Basta guardare i negozi di vendita al dettaglio che chiudono a vantaggio dell’e– commerce. Se non si cerca una soluzione, rischiamo di creare ancor più diseguaglianze. Ai robot bisogna rispondere con la promozionale del valore relazionale del lavoro, che non è solo scambio di prestazione–compenso, ma uno dei vettori di inclusione e sviluppo nonché il più importante ammortizzatore sociale capace di far uscire le persone da condizioni di emarginazione sociale