Forse perché ne abbiamo molto bisogno, ma la speranza sembra oggi un bene raro. Almeno come sentimento diffuso. Per questo l’occasione delle festività pasquali è da cogliere come opportunità per riaffermare le ragioni della speranza. La speranza del terzo giorno, quella più radicale nata dal sepolcro vuoto e dalla pietra rotolata per far ‘passare’ (Pasqua vuol dire passaggio) il corpo del Risorto.
La speranza pasquale nasce dai giorni e dalle ore della Passione di Gesù; perciò, ci mostra che anche dalle nostre sofferenze, dalle ore più buie della storia può irrompere vittoriosa la vita. La Pasqua non ci distrae dai mali del nostro tempo, prima di tutti la guerra che ora è vicina ai nostri confini e che affligge molti luoghi della terra (se ne contano 80 di conflitti!). Ci dice però che non è della morte e del male l’ultima parola.
Anche se sembrano prevalere lo scoramento, la sfiducia, la mancanza di apertura, perfino nei giovani, che dovrebbero rappresentare il nostro futuro, come testimoni della vittoria di Gesù sulla morte abbiamo il dovere di annunciare la speranza, e di farlo non solo con le parole ma anche e soprattutto con le opere.
Le ACLI di Roma la speranza la praticano quotidianamente, cercando di rispondere non solo ai bisogni materiali –tanti e molteplici- di questa città, ma alla domanda di senso che tutti, giovani e donne, famiglie e anziani, ci pongono con insistenza. Riguarda il futuro, ma anche l’immediato presente, avaro di prospettive.
La pandemia prima, la guerra alle porte dell’Europa dopo, la sfiducia tra i cittadini e le istituzioni, la precarietà del lavoro, l’erosione delle risorse del welfare anche per i servizi e beni essenziali, la trasformazione dei progetti in sogni irrealizzabili: sono i capitoli di un libro dell’inquietudine che sfogliamo ogni giorno e che ha i volti dei soggetti più fragili, non i numeri delle statistiche.
Tutto il nostro Sistema – associazione e servizi- incontra le periferie geografiche e esistenziali che vedono compromessa la coesione dei legami e della comunità, insieme all’integrazione delle fasce sociali più esposte all’esclusione.
In questa cornice siamo comunque chiamati a essere portatori di speranza, non declamata, ma concretamente testimoniata attraverso la nostra azione sociale. Paziente, competente, artigianale.
A questo ci richiama anche quest’anno la S. Pasqua, il momento liturgico più forte della Chiesa, che è nata – lo dobbiamo ricordare- dall’annuncio pasquale.
Ma a questo ci invita anche l’appuntamento non troppo lontano del Giubileo del 2025, che ha un titolo significativo: Pellegrini di speranza. E’ un evento planetario, ma la sua realizzazione nella nostra città ci interpella sul nostro territorio e da vicino. Come credenti e come laici. Che vuol dire ‘pellegrini”? Significa che la speranza è una meta verso cui incamminarsi con coraggio, noi e tutti.
Perché la speranza è una virtù corale, che si coltiva insieme, che riguarda il noi.
E’ un’affermazione che di recente ha fatto Papa Francesco, ma che per un’associazione di laici cristiani impegnati nel sociale, quali noi siamo, è allo stesso tempo concreta e esigente. Coinvolge il piano dei valori e quello degli obiettivi e dei modi per realizzarli. Chiede immaginazione e realismo.
La tocchiamo con mano ogni giorno la coralità della speranza che è una virtù artigianale ovvero richiede cura e impegno.
La nostra azione sociale non è mai un’impresa di solisti. Sulla capacità di fare squadra e fare rete, all’interno e all’esterno, tra i diversi soggetti del nostro sistema e con i protagonisti – civili, istituzionali, ecclesiali – del territorio, si decide la nostra rilevanza. E anche la nostra possibilità di incidere sulla sostenibilità democratica della polis, famiglia di famiglie, come agenti di solidarietà e inclusione.
Azioni e valori, progetti e strumenti, proposte e metodo. Sono le coordinate del nostro lavoro sociale, del nostro fare pensato.
Nel farci “pellegrini di speranza” dobbiamo portare un bagaglio di priorità essenziali: il contrasto alle povertà, materiali e spirituali, la battaglia contro ogni forma di isolamento e solitudine che spesso sono il risultato di un cammino lungo, la capacità di ascoltare il grido della città, anche quando è nascosto in vite dignitose e dimenticate dalla scena mediatica.
Il metodo dell’ascolto diventa per noi sostanza per una democrazia della cura.
Il pellegrinaggio della speranza ci avvicina ogni giorno all’evento del Giubileo con le modalità di una piramide rovesciata: si parte dai margini per arrivare al cuore della città, si ascoltano i senza voce per essere la loro voce, per stimolare i luoghi delle istituzioni a rispondere con tempestività ai loro bisogni. Si mettono le persone al centro per mettere al centro la dignità della vita, di ogni vita.
Questo primato delle persone e della loro dignità è, e deve essere, il nostro valore di riferimento costante. La nota di fondo di una sinfonia di differenti ‘solisti’ capaci di dare vita sul territorio a un unico coro, articolato nelle competenze e nelle specificità, ma con-corde nella stessa visione di Bene Comune.
Nel viaggio che compiamo e che faremo siamo perciò tutti pellegrini, spesso in una terra incognita. Basta pensare agli ultimi due-tre anni in cui abbiamo dovuto affrontare un virus sconosciuto e una guerra fin troppo conosciuta. Antica come il mondo, nel suo carico di sofferenza.
Come ACLI di Roma abbiamo accolto profughi ucraini, mamme e bambini, scappati dalla distruzione e dalle violenze. Abbiamo aggiunto alle nostre azioni quotidiane di solidarietà ordinaria a fianco dei ‘nostri’ poveri l’esperienza inedita di chi povero lo è diventato perché ha perso tutto e lasciato tutto.
La sapienza del cuore di tanti volontari è stata ed è preziosa per le ACLI di Roma e il loro impegno per cercare strade nuove, imparare nuovi linguaggi, spesso anche lingue, per moltiplicare le energie dell’accoglienza e della condivisione.
Ci avviciniamo perciò al traguardo del Giubileo in questo clima pasquale di rinascita, dove le ferite della storia diventano feritoie di luce. Con la consapevolezza che i valori, le azioni, i gesti della nostra quotidianità sono il modo più efficace per essere testimoni credibili di una carità fatta di opere concrete.
Il traguardo giubilare ci richiama a un di più di responsabilità come ACLI di Roma. Lo scenario è universale, ma il bisogno è sempre singolare, puntuale, reale. Qui e ora. In ogni tappa del pellegrinaggio, nell’impegno del lavoro sociale siamo chiamati a rendere conto della nostra speranza, pasquale perché ‘definitiva’, corale perché condivisa.
Tradotto in termini di concretezza, in ogni punto del sistema aclista, dobbiamo essere sentinelle e custodi di chi è più fragile, più esposto al rischio di essere lasciato indietro, di restare ai margini di una comunità che deve invece crescere in armonia, sostenibilità umana, voglia di costruire il futuro.