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Generativi di legami solidali

“Voi, che partecipate a questo Incontro Mondiale delle Famiglie, formate una ‘rete’ spirituale, una trama di amicizia”. Confesso che ascoltare Papa Francesco, allo stadio di Dublino, lo scorso 25 agosto, pronunciare la parola “rete”, mi ha fatto un certo effetto.

Io, che in quel contesto internazionale ho portato anche le esperienze delle ACLI di Roma, che hanno fatto del lavoro di rete la propria cifra stilistica, mi rendevo conto in quel preciso istante di quanto, pur faticoso, sia indispensabile in ogni ambito collaborare per costruire insieme una comunità accogliente e solidale, a partire dalla famiglia; la prima palestra della solidarietà e del mutuo aiuto e il punto di partenza della grande famiglia umana.

Ero lì su invito del vescovo di Dublino e del Dicastero della Santa Sede per i Laici, la Famiglia e la Vita, insieme a mio marito Andrea, per intervenire nel panel “Ma di tutte la più grande è l’amore”, ripreso da un famosissimo passo di San Paolo, portando la nostra testimonianza di famiglia generativa pur non avendo figli.

Un argomento delicato, che forse, fino a qualche tempo fa, ritenevo privato, ma anche grazie al mio servizio nelle ACLI ho compreso che poteva avere un senso condividerlo.

E per questo ringrazio anche in questo spazio gli organizzatori, che hanno scelto una famiglia come la nostra (in cui tanti possono identificarsi!) per commentare, con il nostro punto di vista, il versetto di San Paolo, rileggendolo alla luce dell’Amoris Laetitia di Papa Francesco, una esortazione capace davvero di offrirci una visione alta e nello stesso tempo concreta dell’amore.

Dai tantissimi  riscontri ricevuti, a Dublino direttamente o sui social, evidentemente il nostro messaggio è arrivato ed è stato condiviso: si può essere generativi pur non avendo figli, come ribadisce anche Papa Francesco: «…La maternità non è una realtà esclusivamente biologica, ma si esprime in diversi modi» (Amoris Laetitia, 178).

Accanto dunque ad una generatività familiare e parentale il cui frutto sono i figli, esiste una generatività sociale, come viene definita dai sociologi – che può essere propria di chi non ha e di chi ha figli – il cui frutto è un progetto, che guarda in avanti, che, proprio come quello del mettere al mondo un figlio apre al senso pieno della vita e della sua imprevedibilità, proiettando l’azione verso il futuro per poi crescere e fiorire autonomamente, aggiungendo valore sociale al servizio della comunità.

Darsi gratuitamente, avere cura l’uno dell’altro, farsi carico dei bisogni: lo sperimentiamo tanto nelle nostre famiglie, quanto nel lavoro accanto alle fragilità, perché l’amore non si divide ma si moltiplica, sempre.

È questo che rende generativi nel sociale: mettere a dimora quotidianamente, con grande umiltà, semi buoni nella comunità perché possano germogliare e portare frutti, che non saremo noi a raccogliere.

Per dare fondatezza alla nostra testimonianza a Dublino, ho raccontato l’esperienza di tre buone pratiche generative, che rappresentano la mia storia e si intrecciano con quella delle ACLI.

La prima riguarda i Punto ACLI Famiglia, nati a partire dal 2010, quando ero responsabile nazionale delle Politiche per la Famiglia delle ACLI.

I Punto ACLI Famiglia rappresentano un luogo di ascolto, protagonismo, aggregazione, accompagnamento e servizi per e con le famiglie, dove coltivare legami intergenerazionali, interculturali e interfamiliari al fine di rendere generativo l’incontro tra famiglie e comunità, tra bisogni individuali e sociali.

Non a caso questo progetto è stato inserito nell’Archivio della generatività sociale promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dall’Istituto Luigi Sturzo di Roma, di cui è responsabile il prof. Mauro Magatti, colui che ha definito il termine di “generatività sociale” .

 

Le altre due buone pratiche riguardano il mio impegno attuale quale presidente delle ACLI di Roma.

La prima, “Generariamo lavORO”, è il progetto promosso dalle ACLI di Roma e dalla Diocesi di Roma, in rete con CISL di Roma e RietiConfcooperative RomaUCID RomaAzione Cattolica RomaMLAC LazioMCL Roma e Centro Elis.

Un vero e proprio cantiere dedicato a giovani e lavoro, tema che nella capitale, e non solo, è una vera emergenza sociale.

Generiamo LavORO nasce per mettere il lavoro dignitoso in cima alle priorità attraverso in percorso che coniuga una visione alta del lavoro, secondo i principi della Dottrina Sociale della Chiesa, e strumenti concreti per agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani.

Un progetto quindi doppiamente generativo, perché sostenendo i giovani, che sono il nostro futuro, a trovare un lavoro dignitoso, si ottiene anche una ricaduta sui loro progetti di vita, in cima ai quali c’ è il desiderio di formare una famiglia.

 

L’altra buona pratica è “Il pane a Chi Serve 2.0”, che recupera il pane invenduto ma ancora buono da mangiare per portarlo sulle mense dei poveri e che da un anno a questa parte è diventato “Il cibo che serve”, ampliando il recupero ai cibi freschi in scadenza, per arrivare quotidianamente alla mensa di più di 2300 persone bisognose, attraverso un collaudato modello moltiplicatore di solidarietà che aiuta chi aiuta.

Un progetto che racchiude in sé tutta la bellezza del dono e della gratuità e che ci permette di generare legami solidali nella comunità.

E’ questo il cuore dell’invito che ci arriva da Papa Francesco che scrive che: «La famiglia non deve pensare sé stessa come un recinto chiamato a proteggersi dalla società» (Amoris Laetitia 181), ma essere parte attiva della grande famiglia umana perché, soprattutto in un tempo difficile come quello che stiamo attraversando, in cui predominano la cultura dello scarto e la globalizzazione dell’indifferenza, le famiglie rappresentano un anticorpo sano capace di incubare valori, coesione sociale e senso civico.

E’ quindi fondamentale continuare ad essere generativi di legami che si propagano dalla famiglia verso la comunità  rendendola protagonista, perché generatrice di quella speranza che  non è mero ottimismo, ma “la certezza che qualcosa ha un senso”*.

 

Václav Havel