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Fare di Roma la città della Speranza

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di Lidia Borzì                

Gratitudine e speranza. Anche se Avvenire Romasette non mi avesse chiesto di commentare l’omelia di papa Francesco pronunciata nella Basilica di S. Pietro, in occasione del Te Deum dello scorso 31 dicembre, ascoltandolo in diretta, avevo subito immagazzinato nel cuore queste parole – rivelatesi profetiche-, sempre ammirata dalla sua sorprendente lungimiranza unita alla sua pura e paterna schiettezza che non fa sconti a nessuno.

E così, mi sono tornate alla mente anche quando lo scorso 8 gennaio abbiamo scoperto che ci era stato rubato il nostro furgoncino refrigerato, un mezzo che rappresentava idealmente le nostre gambe per raggiungere con il progetto di recupero delle eccedenze alimentari “Il cibo a chi serve”, chi è meno fortunato e non può permettersi nemmeno un pasto al giorno.

La speranza di ritrovarlo è stata subito accontentata, il giorno seguente, anche se il mezzo era in condizioni inutilizzabili.

La gratitudine, pur nella violenza di un gesto che ci ha stretto il cuore, è quella per l’inaspettata gara di solidarietà che si è innescata: Roma e i romani, ancora una volta, confermano di essere animati da un grande cuore pulsante.

E allora sì, gratitudine e speranza sono le parole giuste per ricominciare. Parole che ci aiutano a rileggere il nostro impegno e la nostra azione sociale, del recente passato ma soprattutto del prossimo futuro.

Gratitudine è quella che sentiamo per papa Francesco e per la sua guida spirituale, un dono che ci accompagna e ispira costantemente per essere nella nostra comunità urbana e metropolitana testimoni credibili e custodi operosi del messaggio evangelico. Anzitutto – ma non solo- nel mondo del lavoro, che appartiene al DNA aclista, sempre accanto ai soggetti fragili ed esposti al rischio dell’esclusione: famiglie, anziani, giovani, donne, immigrati, abitanti nelle periferie urbane e esistenziali. A loro Papa Francesco rivolge la sua speciale attenzione, invitando i cristiani a fare lo stesso, per contrastare l’indifferenza che alimenta la cultura dello scarto.

E noi vogliamo continuare a rispondere a questo invito, sempre partendo dall’ascolto, stella polare della nostra azione sociale poiché pensiamo che da questo ascolto, come ha ricordato nel suo discorso di fine anno anche il Presidente della Repubblica Mattarella, nascono e si nutrono la democrazia e la coesione, la solidarietà e la comunità concorde, alla base di quella città della speranza che è fatta di relazioni buone e legami di cura.  È questa cura delle relazioni che cura la città dai suoi mali, antichi e nuovi: esclusione, solitudine, indifferenza.

Papa Francesco e il Presidente Mattarella, nei loro distinti compiti, rappresentano i due saggi a cui guardare per edificare i nostri cantieri di speranza, sempre aperti e sempre da rinnovare. La speranza, ha scritto Charles Péguy, è una virtù bambina, nel senso che chiede lo stupore fiducioso del bambino verso la vita. Non è ingenuità, ma apertura, non è utopia, ma profezia che parte dalla realtà e dalle sue ferite. Come amiamo dire nelle ACLI di Roma, si colloca esattamente tra visione e concretezza. Non va confusa, ha detto Papa Francesco nell’omelia di fine anno, con il facile ottimismo ma nasce dalla fede nel Dio incarnato, che “dona un nuovo modo di sentire il tempo e la vita”. Di questa speranza noi siamo seguaci in cammino, pellegrini, come afferma il tema del Giubileo del 2025. Per questo la domanda di Papa Francesco – “stiamo operando, ciascuno nel proprio ambito, affinché questa città sia segno di speranza per chi vi abita e per quanti la visitano?” – ci interpella profondamente. Ci aiuta a discernere i segni dei tempi, di questi tempi di incertezza, guerre, diseguaglianze, precarietà.

L’abbiamo fatto di recente a proposito dei giovani e del lavoro, nell’evento del ‘Labordì’, che ha raccolto attorno ai grandi interrogativi sui giovani e sul loro futuro molti esponenti del mondo imprenditoriale, istituzionale, formativo, oltre alla presenza massiccia di molti giovani. In questa occasione abbiamo messo alla prova la nostra capacità di mettere in campo le connessioni stabili tra soggetti civili, realtà ecclesiale, rappresentanti delle istituzioni, insomma quel lavoro di rete che è sostanza e non metodo della comunità responsabile. In quella stessa circostanza, è arrivato il dono sorprendente  di un messaggio di Papa Francesco che è andato oltre ogni nostra aspettativa, indicandoci la strada e la mappa della nostra azione sociale. Pensando alla preghiera a cui il nostro Pastore ha voluto dedicare il 2024, in preparazione dell’anno giubilare, ci sembra di poter dire che la nostra azione quotidiana di prossimità è un modo di pregare, non è attivismo ma preghiera concreta e feriale.

È anche un modo per contribuire a generare bellezza, di cui la nostra città è manifestazione visibile in ogni sua piazza, in ogni suo angolo, in ogni suo monumento. Accanto a questa bellezza che è, come dice Papa Francesco nel suo messaggio del 31 dicembre, “un’esperienza che infonde speranza”, vogliamo contribuire a quella bellezza essenziale invisibile agli occhi,  per richiamare le parole del “Piccolo principe”, che è quella dei legami di cura che curano la città e la rendono vivibile. Per tutti e per ciascuno.

A questi legami le ACLI di Roma dedicano passione e competenza, nell’umile consapevolezza di essere un tassello di un grande mosaico che può fare di Roma una città ‘giubilare’, secondo il significato proprio e originario del termine. Giubilo, gioia vera, condivisione che moltiplica energie e visioni di futuro.