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50 anni delle Regioni italiane a Statuto Ordinario

di Lidia Borzì

Mezzo secolo, un compleanno importante per le Regioni Italiane a Statuto Ordinario. Una ricorrenza che avremmo dovuto celebrare  con tutti gli onori e tante, infatti, erano le iniziative in programma in tutto il Paese, ma purtroppo l’emergenza sanitaria ci porta a vivere questo momento un po’ in solitudine, e questo vale anche per le Regioni come per tutti coloro che hanno compiuto gli anni in questo periodo.

L’occasione è comunque da cogliere per poter riflettere sul ruolo delle istituzioni regionali di oggi alla luce delle prospettive future, delle buone pratiche messe in campo, ma anche dei punti di forza e debolezza che abbiamo sperimentato in questi difficilissimi mesi a causa del COVID19, tra momenti di confusione e sovrapposizione e casi di positiva cooperazione e complementarietà.

Questo momento di grande difficoltà ha rappresentato, infatti, un terremoto, che ha acceso i riflettori sulle Regioni e sui rapporti tra Stato e Regioni, da sempre complesso e travagliato; basti pensare che l’istituzione effettiva delle Regioni è arrivata solamente dopo ben 22 anni dalla firma della Costituzione italiana che l’aveva prevista.

Nel 2001, inoltre, la riforma del Titolo Quinto della Costituzione ha profondamente innovato la questione delle competenze regionali (Art. 117 Cost.) e degli Enti Locali, segnando un sostanziale passo in avanti verso l’autonomia regionale. Un testo controverso, quest’ultimo,  che negli anni ha subito diversi interventi della Corte Costituzionale, che hanno ridimensionato e definito più chiaramente l’espansione della competenza regionale, mettendo in luce quanto in realtà sia fondamentale il coordinamento con il livello statale.

Nel frangente della gestione della pandemia non sono mancati, infatti, momenti di tensione e di incomprensione tra Stato e Regioni, che sono intervenute con approcci differenti e talvolta con slanci eccessivi: confusione dovuta anche alla mancanza della clausola di supremazia, una norma che attribuirebbe allo Stato il potere di intervenire direttamente anche in materie che non sono espressamente di propria competenza. Tuttavia, come abbiamo sperimentato in questi ultimi mesi, lo Stato ha alcuni strumenti di salvaguardia, soprattutto quando ci sono in ballo questioni di interesse nazionale, come la salute della persona e la tutela della collettività.

L’introduzione della clausola di supremazia, però, andrebbe di pari passo con l’istituzione di una seconda Camera di livello territoriale per bilanciare gli equilibri e dare rappresentanza alle Regioni e alle autonomie locali; ruolo di coordinamento e di raccordo svolto oggi parzialmente dalla Conferenza Stato Regioni.

Più che mai in questo tempo risulta, allora, centrale e attuale il tema dell’autonomia differenziata, di recente al centro di un acceso dibattitto, che ha visto da una parte  Regioni orientarsi verso un’autonomia spinta (che metterebbe in discussione l’unità del Paese), dall’altra posizioni – come quella delle ACLI – in favore di un’autonomia cooperativa e solidale che faccia della differenziazione un valore aggiunto per la crescita della coesione sociale e dell’aumento dell’efficienza istituzionale e amministrativa del nostro Paese e dell’Europa intera.

Un sistema solidale, differenziato e cooperativo, che da una parte valorizzi le peculiarità e le culture dei singoli territori e ne consideri le diversità, e dall’altra garantisca l’identità e la tenuta del Paese, assicurando a tutti i cittadini i diritti fondamentali sanciti nella Costituzione in materia ad esempio di sanità, istruzione, lavoro, ambiente, salute, welfare.

Una accentuata, e a quel punto inevitabilmente non coordinata, autonomia regionale, invece, rischierebbe di minare l’effettiva uguaglianza dei diritti dei cittadini su tutto il territorio nazionale e l’unità e la coesione del Paese, concretizzando il timore che si crei una frattura istituzionale tra il Nord e il Sud del Paese.

Un Paese che deve fare i conti con aree geografiche con differenti caratteristiche, possibilità e ricchezza, ha la certezza che una mancata coordinazione delle competenze locali in maniera funzionale finisca per generare al suo interno cittadini di serie A e di serie B.

L’obiettivo deve allora sempre essere quello di mettere in cima alle priorità il bene comune e l’interesse generale, sopra agli interessi particolari, secondo i principi universali di sussidiarietà e inclusione e in un quadro in cui i rispettivi diritti e doveri siano sostanzialmente in equilibrio.

La ricorrenza di questo mezzo secolo di vita deve rappresentare l’occasione per mettere le Regioni italiane al centro di un importante processo di valutazione, verifica e ripensamento del proprio ruolo e delle proprie funzioni, tanto più che in un tempo di distanza dei cittadini dalla politica sono proprio gli enti locali, comprese le Regioni, a suscitare maggiore interesse verso la partecipazione civica.

Siamo convinti che l’emergenza Covid sia uno spartiacque dopo la quale “niente sarà più come prima”, e la speranza è che sapremo uscirne migliori in tutti gli ambiti, soprattutto quelli sociali e politici;questa sembra allora essere l’occasione da non perdere per promuovere un nuovo e forte spirito costituente e ridisegnare le Regioni del futuro, ben radicate nel territorio ma sempre più proiettate nell’ottica europea e soprattutto dove l’autonomia sia integrata efficacemente in uno schema di funzionamento coordinato e omogeneo valido per tutti i cittadini italiani.

Utopia? Sogno?

Noi auspichiamo che diventi realtà. In ogni caso questi sono i regali che speriamo vengano fatti alle Regioni e al nostro Paese in occasione di questa ricorrenza. D’altronde si sa, ogni compleanno che si rispetti prevede delle candeline da spegnere e dei desideri silenziosi da esprimere e far volare in alto.

Noi questi desideri li abbiamo espressi, ora siamo pronti a fare la nostra parte, consapevoli che prima di tutto la politica deve fare la sua, affinché si realizzino concretizzandosi in un futuro migliore per tutti noi.